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Il fascino di Roma attraverso alcuni esempi di impianti a verde realizzati e donati alla città tra il 2012 ed oggi dal Garden Club “Giardino romano”.

Se qualcuno avesse voglia, tra la sconfinata letteratura specifica, di andare a rileggere testi sull’architettura e sulla città molto distanti tra loro nel tempo, ad esempio da un lato quello di Vitruvio e dall’altro quelli di Camillo Sitte o di Joseph Stübben, fino ai contemporanei, noterebbe subito come molte cose cambino, ma i giardini e le alberature urbane permangono come fattore costante di estetica e utilità urbana.

Sembra quindi che il vantaggio della coesistenza di alberi e città sia molto vicino ad essere qualcosa di inopinabile. Viaggiando in Paesi anche molto lontani tra loro e dall’Italia, profondamente dissimili per cultura, non può sfuggire a nessun curioso che qualsiasi angolo, qualsiasi prospettiva, qualsiasi quartiere, quale che sia per modernità, stato di conservazione o funzionalità, guadagna in qualità per la presenza di giardini, di aree verdi, di alberature o di singoli alberi. A questi ultimi poi va un merito plurimo, perché abbelliscono e sanificano l’aria; quindi, beneficiano le persone nell’animo e nel corpo.

Ad esempio, di quanto sia necessario e possibile fare in questa direzione si illustrano qui sinteticamente alcune opere di giardinaggio che a partire dal 2012 il Garden Club di Roma “Giardino romano” ha ideato e realizzato con l’amichevole aiuto dell’architetto Massimo de Vico Fallani e con la collaborazione dell’architetto Marta Pileri come dono alla città.

2012

Esedra Arborea di Piazza del Popolo,
restauro della cortina di cipressi 

L’esedra storica di cipressi che fronteggia le prospettive del Pincio in asse con via Ferdinando di Savoia compare nelle planimetrie del Pincio già dal 1846 come parte integrante del giardino del Pincio stesso che si prolunga oltre l’asse di via Flaminia ed include nel suo ambito piazza del Popolo aumentando il senso di unità compositiva dell’intero progetto. L’esedra arborea ha inoltre il significato classico di fondale monumentale, un motivo scenografico che dagli esempi romani (le esedre delle Terme) a quelli dei giardini rinascimentali (villa Albani-Torlonia, giardino vaticano del Belvedere), al grande abbraccio berniniano del colonnato di san Pietro, fino ai tempi moderni (Esedre arboree di piazza Venezia) rappresenta uno degli elementi figurativi più espressivi dei giardini e dell’immagine di Roma (fig. 1). Inoltre, a partire dai primi del secolo scorso, l’esedra arborea di piazza del Popolo ha assunto il significato aggiuntivo di schermatura che nasconde gli edifici d’abitazione successivamente costruiti alle sue spalle.

Da diversi anni questa esedra si era impoverita e resa irriconoscibile nel suo significato per la morte di diversi cipressi mai rimpiazzati, dei quali erano ben riconoscibili le ceppaie ancora rimaste in sito. Il paragone tra alcune immagini fotografiche rispettivamente del 1885, del 1990 e del 2012 mostravano come il processo di degrado si fosse accentuato negli ultimi anni, aprendo larghe lacune attraverso le quali i fabbricati comparivano annullando la bellezza e la funzione urbanistica di questo importante impianto. In questo modo risultava compromessa la veduta dalle terrazze del Pincio, che costituisce uno dei più suggestivi scenari di Roma a partire dalla prima metà del XIX secolo.

Il progetto ha previsto la ripiantagione di sette cipressi, la cui posizione è stata studiata con cura otticamente sul posto mediante traguardi visuali ripresi dalla parte opposta della piazza, affinché prospetticamente le nuove piante si trovassero nella migliore possibilità di ricostituire la cortina di cipressi antica (fig. 2). Quest’anno, con la collaborazione del Servizio Giardini di Roma Capitale, tale opera, che a noi appare di grande importanza per Roma, sarà completata con la ripiantagione di altri 15 cipressi (fig. 3).  

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2013

Appia Antica – riqualificazione dell’arredo arboreo

La Regina viarum, progressivamente abbandonata attorno al VI secolo e lentamente perduta tra le frammentazioni catastali a partire dal Medioevo, vide la sua rinascita nel XVIII secolo, nell’ambito dei programmi per la bonifica dell’agro pontino, con gli scavi promossi da Pio VI, il quale inoltre aprì il parallelo tragitto dell’Appia nuova proprio per favorire la monumentalizzazione della antica strada. Nei primi anni del XIX secolo Antonio Canova, ispettore alle Belle Arti sotto la guida di Carlo Fea, commissario alle antichità, interviene su alcuni importanti sepolcri (di Servilio IV, c.d. di Seneca, dei figli di Sesto Pompeo Giusto ed altri) con una suggestiva opera di restituzione a metà tra l’archeologico e il pittoresco. Pochi anni dopo (1824) tale innovativo esempio fu seguito da Giuseppe Valadier, che adottando gli stessi criteri ricompose alcuni frammenti e iscrizioni antiche sulla base del Mausoleo di Cecilia Metella. Questi esempi, ancora oggi visibili, avrebbero costituito il modello per il completo progetto di restauro promosso da Pio IX a partire dalla metà del XIX secolo e attuato dall’archeologo Luigi Canina, il quale, replicando su larga scala i criteri ricompositivi inaugurati dal Canova, conferì all’Appia antica il significato senza precedenti di una vera e propria mostra all’aria aperta di sé stessa. Il restauro dei sepolcri era complementare a quello della strada, che fu liberata mediante espropri con due fasce di circa 10 metri per lato delimitate da muretti di selce a secco denominati localmente ‘macère’. Solo più tardi l’Appia ricevette la pittoresca corona di verde che non faceva parte del progetto di Luigi Canina. I primi a piantare pochi pini sull’Appia antica furono Rodolfo Lanciani (circa il 1875) e Giacomo Boni (verso la fine del 1800). Ma la prima piantagione importante di circa 100 pini e 300 cipressi si deve ad Antonio Muñoz, che, quale funzionario del Ministero per la pubblica Istruzione, la effettuò nel 1911. 
La parte muraria dell’Appia antica (sede stradale, crepidini, macere e sistema di drenaggio delle acque piovane) venne restaurata con un progetto della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sotto la direzione dell’architetto Massimo de Vico Fallani, in occasione dell’anno giubilare del 2000. Ma da diversi anni l’importante patrimonio arboreo dell’Appia antica si è andato impoverendo a causa dell’insufficiente dotazione di fondi. Sono scomparsi così alcuni alberi monumentali e con loro i più suggestivi fattori di qualità paesaggistica che fanno dell’Appia antica il parco lineare fra i più belli e antichi del mondo.
Per tali considerazioni, nell’interesse della bellezza dei parchi e dei giardini e di Roma, il Garden club della nostra città propose di restaurare alcune delle piantagioni scomparse intervenendo su tre diversi sepolcri. Il progetto è stato studiato confrontando la documentazione storica con lo stato attuale. L’individuazione delle localizzazioni per le nuove piantagioni è il risultato anche in questo caso, come abbiamo visto per piazza del Popolo, di un’indagine visiva e di un riscontro con il rilievo floristico dell’Appia redatto dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma nel 1986. Si è inteso ricostruire il quadro che incoronava alcuni sepolcri con due pini disposti simmetricamente, uno dei quali era morto. In un caso non è stato possibile in quanto nel punto del vecchio pino vi è una struttura antica, e dopo opportuni saggi è stato scelto di utilizzare un cipresso, a radice fittonante e non espansa orizzontalmente. Furono ripiantati dei pini, dei cipressi e delle tamerici, che decorano ai due lati una figura in bassorilievo. L’iniziativa, come le altre, vuole essere al tempo stesso concreta ma anche stimolatrice di più estesi interventi volti a restituire all’Appia antica il suo spettacolare corteggio arboreo. 

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2014

Appia Antica – Circo di Massenzio -
Ripiantagione di esemplari di Prunus

Passeggiando lungo l’Appia antica, nel tratto cosiddetto “urbano”, si incontra, andando fuori Roma sulla sinistra, il grandioso e inaspettato spettacolo del Circo di Massenzio, che l’imperatore volle qui costruire per suo svago personale. La prospettiva, già stupenda di per sé, era fino a qualche anno fa inquadrata sulla destra da una coppia di Prunus sopravvissuti a vecchi frutteti impiantati dall’ultimo proprietario principe Torlonia, e che poi vennero in gran parte divelti per gli scavi archeologici dell’area. A partire dal febbraio, e per buona parte della primavera, questi Prunus, uno a fiore bianco e uno a fiore rosa, valorizzavano pittorescamente il quadro del circo con le loro smaglianti fioriture, l’intensità delle quali compensava abbondantemente la brevità della loro vita. Pochi anni fa, tuttavia, anche questi alberelli sono venuti meno per vecchiaia, e, tanto per cambiare, non sono stati ripiantati.

Il progetto è consistito, molto semplicemente, nella ripiantagione dei due Prunus. Si consideri che per mancanza di manutenzione, che era a carico del Comune di Roma, anche le nuove piante sono morte; ma sono state subito ripiantate, e in questo caso il “Giardino romano” ha deciso di occuparsi direttamente dell’indispensabile onere di annaffiare le piante per almeno due anni.

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2015

Appia Antica – impianto di un arboretum di conifere esotiche

A differenza degli altri progetti questo Arboretum di conifere esotiche, le cui piante sono state donate dal Professor Pier Lorenzo Marchiafava, è stato proposto dal “Giardino romano”, ma realizzato a cura e spese della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma. Esso deriva dallo storico Arboretum di villa Bibbiani (Capraia e Limite, Firenze) impiantato nel XIX secolo da Cosimo Ridolfi (1794-1865), ed è costituito da oltre 30 individui in rappresentanza di altrettante specie esotiche provenienti da tutte le parti del mondo come appresso elencate. Esiste un significativo precedente storico, perché verso la fine del XIX secolo l’architetto-archeologo e giardiniere Giacomo Boni (1859-1925) aveva costituito nell’area dell’Appia Antica, in un terreno offerto dall’ingegner Francesco Mora, un Arboretum di conifere donatogli dalla Società Romana di Orticoltura.

L’area a disposizione, di forma rettangolare e di oltre 5.000 metri quadrati, fiancheggia a circa il sesto miglio dell’Appia antica. È di proprietà del Demanio dello Stato e in consegna alla Soprintendenza Archeologica di Roma. Gli alberi, secondo i disegni di progetto, sono stati disposti a filari lungo segmenti di archi concentrici che nell’insieme riproducono il profilo di una mandorla, con i vertici corrispondenti ai lati corti del terreno. Il sesto - cioè la distanza - degli alberi fra loro, come si deve nel caso di conifere in un impianto che non è esclusivamente ornamentale, ma floristico, è di 12 metri. Un elettrodotto a bassa tensione attraversa il terreno. Questi elementi (la forma del terreno, il sesto degli alberi e l’elettrodotto) hanno portato alla forma a mandorla come a quella che soddisfaceva ad esigenze funzionali e di sicurezza, ottenendo al tempo stesso una composizione gradevole alla vista. Tra gli alberi sono posti dei sedili rustici in travertino, in accordo con il carattere archeologico dell’Appia antica. Le specie e le varietà poste a dimora, di età fra i due e i cinque anni, sono le seguenti:

Pinus  greggii, Pinus  patula, Pinus  pseudostrobus, Pinus  nigra laricio, Pinus sylvestris L., Pinus leucodermis (loricato), Pinus sylvestris mongolica,

Pinus wallichiana, Pinus hwangshanensis, Pinus massoniana, Pinus yunnanensis, Pinus tabuliformis, Pinus contorta latifolia, Pinus jeffreyi, Pinus coulteri,

Pinus sabiniana, Pinus glabra, Pinus flexilis reflexa, Pinus taeda, Pinus canariensis, Libocedrus, Picea omorica.            

                             

Questo impianto ha destato un grande interesse e ammirazione da parte degli addetti ai lavori e degli utenti, ma purtroppo, a seguito dei vuoti di finanziamento e dei cambiamenti di uffici conseguenti alla ristrutturazione del Ministero per i Beni Culturali volute dal Ministro Franceschini, è venuta a mancare la manutenzione, motivo per cui quasi tutti gli esemplari, che avevano attecchito con successo, non sono sopravvissuti ai caldi estivi. Colgo l’occasione per rappresentare la gravità di un evento così spiacevole, tenuto conto del grande lavoro che è stato complessivamente necessario per realizzare il progetto, e la piccola entità dell’impegno di annaffiare l’arboreto da parte della Soprintendenza.

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2016

Arco di Giano – Piantagione di due quinte di cipressi

Dopo gli interventi a piazza del Popolo, sull’Appia Antica e al Circo di Massenzio, nel 2016 il “Giardino Romano” propose alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma una collaborazione per l’abbellimento giardiniero dell’Arco di Giano, sul piazzale che volge verso la Bocca della Verità. La proposta consiste nella piantagione di due filari di quattro cipressi per parte ai lati dei muri che fanno da quinta al monumento.
L’idea, che riprende idealmente alcuni studi di sistemazione a verde studiati nei primi anni del ‘900, nasce dal fatto che il quadro figurativo risentiva in maniera negativa dei due muri laterali e delle retrostanti costruzioni che incombono sulla scena quasi dominandola a tutto svantaggio dell’arco, che è uno dei più bei monumenti di Roma. I cipressi (Cupressus sempervirens) hanno lo scopo di migliorare il quadro visivo, attenuando l’impatto dei due fabbricati laterali, e di guidare la vista focalizzandola sul monumento che viene così maggiormente valorizzato. Concretamente il “Giardino Romano” ha curato il progetto più la fornitura e posa a dimora degli otto cipressi e la loro manutenzione. Sulla base degli accordi presi con l’istituzione pubblica, le opere murarie necessarie per il completamento dell’opera, consistenti nella formazione delle tazze tonde del diametro di 1,5 metri, che vanno ricavate dalla pavimentazione in sampietrini, sono state eseguite dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. 

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2017


Piazza san Pietro in Montorio – parziale restauro del palmeto

Con il progetto del 2017 il “Giardino Romano” ha affrontato il tema del restauro dei giardini storici, ricostituendo parzialmente il palmeto – parzialmente distrutto durante l’ultima guerra -  che a partire dai primi anni del ‘900 ornava il piazzale antistante la chiesa di san Pietro in Montorio, nel cui chiostro sorge il famosissimo tempietto bramantesco.  Così, sulla base di indagini dirette e di un’accurata ricerca documentaria, è stata ripiantata una palma Phoenix dactylifera, nello stesso posto dove si trovava, insieme ad altre, nei primi anni del XX secolo. La specie scelta, come dimostrano gli altri esemplari esistenti a Roma, ivi compresi quelli che rimangono nella stessa Piazza di San Pietro in Montorio, è resistente al Rhynchophorus ferrugineus. 
La storia di questa piantagione si lega all’allora direttore dei Giardini di Roma, Nicodemo Severi, uno dei direttori più longevi che con opere importanti ha lasciato memoria della sua attività nell’immagine di Roma. Fra le sue opere fu particolarmente importante la Passeggiata Archeologica, ma si devono annoverare inoltre la sistemazione a verde della piazza di Santa Croce in Gerusalemme, piazza Dante (oggi profondamente trasformata) e in particolare piazza Cavour. Proprio per quest’ultimo giardino, ricco di palme, il Severi aveva acquistato un lotto di 260 piante che erano state espiantate dalla Stazione ferroviaria di Ventimiglia per i lavori di ampliamento di quella struttura. Il 13 agosto del 1909 il Giornale «La Tribuna» di Roma scrisse a questo proposito:
[…] Acquistate ora dal Comune 260 magnifiche palme che le ferrovie dello Stato hanno dovuto sradicare a Ventimiglia, per i lavori di allargamento di quella stazione ferroviaria; ne verranno abbelliti molti luoghi della città. Quaranta di queste palme già furono piantate al nascente giardino di piazza Cavour […]
Si trattava di palme di genere e specie molto vari, tra i quali la Phoenix Canariensis, la stessa Phoenix dactylifera, la Cocos australis, la Washingtonia filifera, la Chamaerops humilis e la Trachycarpus fortunei. Tra gli altri luoghi che ospitarono quelle palme vi furono Piazza di Spagna, Piazza Mastai, la citata Piazza di Santa Croce in Gerusalemme, e, appunto, la nostra piazza di San Pietro in Montorio. In questo caso la scelta cadde esclusivamente sulla Phoenix dactylifera che in quegli anni, come simbolo delle colonie africane italiane, prevaleva ancora sulla canariensis. Ma va anche osservato che la palma da datteri è più elegante della palma delle Canarie, quest’ultima essendo un po’ troppo massiccia, anche se più lussureggiante. Inoltre l’esile e allungato stipite della palma da datteri lasciava integra la veduta su Roma, che da questa piazza di San Pietro in Montorio, girando quasi per 180 gradi, è veramente di straordinario incanto (da qui cantò Roma Gogol nell’omonimo racconto). Attualmente tale veduta però è quasi del tutto compromessa da alberi che crescono nelle scarpate inferiori, alcuni dei quali infestanti come l’ailanto. Forse il Comune potrebbe prendere in considerazione l’idea di liberarla nuovamente, almeno in parte, mediante qualche recisione o intervento di potatura mirati su esemplari di minor pregio.
Della piantagione originale rimanevano soltanto tre esemplari superstiti che si trovano sulla destra della facciata della Chiesa, mentre mancano quelli dove appunto è stata eseguita la ripiantagione. 

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2018

Foro Romano - Piantagione di un cipresso tra la Curia e la Chiesa dei santi Luca e Martina

Nell’area del Foro Romano e del Palatino – oggi Parco Archeologico del Colosseo – le opere a verde, a parte quelle ereditate dagli impianti preesistenti l’acquisizione pubblica – primi fra tutti gli Orti farnesiani, ma anche le piantagioni di villa Mills, si debbono sostanzialmente al pensiero e all’opera di Giacomo Boni, che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento poté applicare in gran parte il suo progetto “Flora Palatina”, un’idea sostanzialmente senza precedenti per la sua originale specificità. A lui si debbono piantagioni eseguite con fini diversi, in parte funzionali per il comodo dei visitatori (ad es. gli allori lungo la via Sacra), altri percettivi per la costituzione di un’immagine complessiva armonica e priva di interruzioni (ad es. i tigli lungo la rampa verso via di san Teodoro), altri ancora per la memoria dei giardini classici (ad es. il viridario virgiliano), ed infine altri interventi eseguiti per l’abbellimento (ad es. il glicine che si addossa al portico medioevale della via Sacra). Nel corso del tempo i Soprintendenti che si sono avvicendati hanno proseguito con alcune piantagioni, non sempre appropriate ancorché belle, come i cedri posti a dimora negli anni Trenta del secolo scorso a destra del Clivo Palatino, altre più opportune, come gli ulivi sul versante verso via di san Gregorio.
In tempi più recenti, compresi tra il 1986 e il 2000, altre piantagioni sono state effettuate, secondo un piano generale ispirato ai criteri storici di Giacomo Boni e i relativi progetti esecutivi redatti dall’architetto Massimo de Vico Fallani. Fra questi è la ricostruzione allusiva del Settizodio con cipressi, rose e ulivi; poi il gruppo di un cipresso, un cotogno e un albero di giuda che fiancheggiano la chiesa di san Teodoro, poi i cipressi e le spalliere di edere lungo il muro di confine che costeggia via di san Teodoro e quelli posti ad inquadramento della chiesa di santa Francesca Romana (d’intesa con i religiosi del convento di santa Maria Nova).
Il progetto proposto dal Garden Club di Roma “Giardino Romano” si pone nella scia di quanto realizzato secondo i criteri del Boni, e ha come obbiettivo l’abbellimento e il miglioramento della percezione di un angolo particolarmente importante sul piano archeologico e suggestivo per la sua posizione e i monumenti che lo adornano. In particolare, la zona è quella della Curia, che fiancheggia la chiesa dei santi Luca e Martina e fronteggia, a breve distanza, l’Arco di Settimio Severo. Qui si è pensato ad un cipresso da porre sulla proda che esiste tra la Curia e la chiesa dei santi Luca e Martina. Quest’idea, che fa parte di un più ampio progetto di abbellimento redatto per l’intera area del Palatino attorno agli anni 2000, ha il doppio scopo di abbellire quest’angolo, che rispetto ad altre parti del Foro appare meno adornato, e di articolare armoniosamente, proprio per mezzo del cipresso, i due volumi della Curia e della chiesa, che, a causa del vuoto che li separa, appaiono oggi un po’ estranee l’una all’altra. Il progetto, oltre alla fornitura e piantagione del cipresso, comprende la bonifica dai rovi che infestano la scarpatella. Inoltre, il “Giardino romano” si è occupato della manutenzione di questa pianta per la durata di due anni.

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2019 

Monumento a Trilussa –
Sistemazione a giardino dell'aiuola antistante

Il grande poeta romanesco si spense a Roma il 21 dicembre del 1950, e nel quarto anno della sua scomparsa il Comune volle dedicargli il monumento che oggi vediamo, con la figura di Trilussa scolpita da Lorenzo Ferri (+1975) e la bella composizione tipicamente romana di alcuni oggetti antichi incastonati in un muro di mattoni. L’idea nasce dal fatto che il quadro figurativo risentiva in maniera negativa dello stato di abbandono dell’area che circonda il monumento, uno dei più amati dai romani. 
Secondo il progetto nell’aiuola le due ali laterali sono state piantate a tappeto con esemplari di Agapanthus africanus che, con i loro fiori cerulei e il verde tenero delle foglie, concentrano l’attenzione sul gruppo scultoreo senza nasconderlo, anzi enfatizzandolo. La fascia centrale che ne risulta è piantata da un tappeto di Ophiopogon japonicus, quella che un tempo era nota come Convallaria japonica, una piantina sempreverde non più alta di dieci centimetri, che forma un prato basso verde intenso e dopo la fioritura bianca produce delle lucenti bacche blu scuro. Il muro di fondo del monumento, a mattoni, viene rallegrato ma non completamente coperto da una piantagione di dieci rose rampicanti rifiorenti “albertine”. L’area compresa tra l’aiuola e l’area esterna è ricoperta di ghiaino “vero” da giardino, quello con una pezzatura di 3-5 millimetri. In tal modo si è riqualificato il quadro visivo e si guida la vista focalizzandola sul monumento, al quale viene pertanto restituita la dignità che merita.

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2020

Restauro dell'aiuola intorno al monumento ai fratelli Cairoli

L’idea che si è proposta per il 2020 è stata quella di restaurare l’aiuola che circonda il Monumento ai Fratelli Cairoli. La storia di questo importante monumento, come si legge nel libro L’Ombra de Grandi,[1] fu piuttosto tormentata, come spesso accadeva, per i temi monumentali, altamente simbolici, in quei tempi pieni di passioni politiche e storiche. Ne fu autore Ercole Rosa (1896-1893), che aveva immaginato il monumento già nel 1872, ancora sotto le vive impressioni raccolte sul campo di battaglia di Mentana. L’inaugurazione avvenne nel 1883, e si trattò di un evento particolarmente significativo in quanto si aveva a che fare con il primo monumento comunale risorgimentale a Roma. L’aiuola si trovava in uno stato di degrado, completamente spoglia e danneggiata anche nella bassa recinzione, rotta in più punti.

L’idea di base è stata quella di piantare nell’aiuola due esemplari di Cycas revoluta. Le considerazioni che hanno portato al progetto nascono da alcune fotografie storiche le quali mostrano, in una cartolina attribuibile forse ai primi anni del Novecento l’aiuola piantata con due esemplari di Agave americana (fig. 11), e in una seconda cartolina che nel libro L’Ombra dei Grandi, dove è pubblicata, viene attribuita ai primi anni dello stesso Novecento, ma probabilmente è più vicina agli anni Cinquanta o Sessanta, dove ai lati dell’aiuola appaiono due Chamaerops humilis (fig. 12). Da questa documentazione storica è nata l’idea che si propone. Però le specie storicamente documentate non possono essere ripiantate, in quanto l’agave si sviluppa molto in orizzontale e produce robusti pungiglioni non compatibili con la sicurezza del pubblico; la Chamaerops a sua volta ha uno sviluppo che può raggiungere fino a dieci metri e più in altezza e larghezza, e inoltre recentemente è attaccata dal Paysansisia archon che ha distrutto una parte molto consistente del patrimonio vegetale di tale specie a Roma.

Il motivo di due piante esotiche poste ai lati di un monumento è stilisticamente tipico ed ha un interesse storico peculiare che sembra opportuno restituire ricorrendo alla Cycas revoluta, resistente alle malattie, esente tanto dagli attacchi del Rhynchophorus ferrugineus (punteruolo rosso) che da quelli del Paysansisia archon. Inoltre si tratta di una specie a crescita contenuta, con un’altezza attorno al metro e mezzo e un diametro della chioma della stessa misura (fig. 13).

 

[1] L. Berggren, L. Sjöstedt, L’Ombra dei Grandi - Monumenti e Politica monumentale (1870-1895), Roma, Artemide Edizioni,1996, pp. 67-79.

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2021

Piantagione di un esemplare di Phoenix dactilifera accanto alla Piramide di Caio Cestio

La proposta per il 2021, seguendo una tradizione così benvoluta dai cittadini e dalle amministrazioni, ha riguardato la Piramide di Caio Cestio. La Piramide venne costruita tra il 18 e i 12 a.C. da Gaio Cestio Epulone. La struttura è in muratura di calcestruzzo, il rivestimento in lastre di marmo di Carrara. È alta otre 36 metri con una base di 30 x 30. All’interno si trova una camera sepolcrale di modeste dimensioni, dove effettivamente, come da sue volontà testamentarie, fu sepolto Caio Cestio. La sua volontà diventa comprensibile pensando che nel 30 a.C. l’Egitto era divenuto provincia romana, e la cultura di questo affascinante e antichissimo paese, con la sua arte, era divenuto in quegli anni una moda a Roma. Nel terzo secolo d.C. la Piramide venne inglobata nel percorso delle Mura erette dall’Imperatore Aureliano, divenendo un semplice bastione difensivo. L’attuale ingresso sta al posto di un’antica posterula che portava verso il vicino emporio sul Tevere. Dalla parte opposta si apre la Porta San Paolo, che ospita un bellissimo museo purtroppo poco noto, con un meraviglioso e grandissimo modello del Porto di Traiano a Fiumicino. Nel XIX alle sue spalle venne inaugurato il Cimitero acattolico, che con la sua bellezza ne garantisce nel tempo un quadro paesaggistico altamente suggestivo. Lungo tutto il Medio Evo, e poi nel Rinascimento, e infine nelle dolorose vicende della liberazione di Roma avvenuta nel giugno del 1944, questo Monumento, che segna armoniosamente il paesaggio di Roma, ne è diventata una delle massime icone, ricca di significati non solo figurativi, ma anche storici e artistici.

Il progetto, come dice il titolo, consiste nella piantagione di un esemplare di Phoenix dactilifera ad una certa distanza di rispetto dal monumento. L’intenzione è quella di associare tra loro due forme che afferiscono ad un medesimo ambito storico, culturale e artistico. I graffiti nelle tombe dei grandi dignitari egiziani del Medio e Nuovo Regno sono ricchi di rappresentazioni di paesaggi e di giardini dove questa specie di palma compare tra le altre piante usuali in quel tempo e in quei luoghi. Inoltre tale specie, a differenza della sua “cugina” canariensis, non è attaccata dal Punteruolo rosso, come dimostra l’esemplare posto a dimora oltre tre anni fa a San Pietro in Montorio, in perfetto stato di salute, e come dimostrano anche altri esempi di diversi individui di palma da datteri posta in ville di area romana, anche di dieci-quindici anni fa, anche queste in pieno vigore. Il posizionamento della pianta si avvale delle bellissime sistemazioni urbanistiche completate pochi mesi fa da Roma Capitale, ed è stata studiata paesaggisticamente in modo che valorizzi il monumento e gli spazi circostanti senza occultare né le mura antiche, né le targhe e la colonna commemorativa che si trovano nei pressi. Inoltre lo stipite della palma da datteri diventa molto alto e rimane esile, quindi, proiettandolo nel futuro, anche la chioma sarà più alta del coronamento delle mura.

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Maria Gloria Melchiorri Viero,
Presidente del Garden Club di Roma “Giardino Romano”

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